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Non credevo che io e Salinger potessimo diventare amici, invece è successo. In realtà è stato molto più di questo, ma procediamo con ordine.
Ho sempre associato Salinger a “Il giovane Holden”, libro per il quale nutro tuttora una specie di repulsione senza che io sappia spiegarne il motivo. Forse, l'ho sentito nominare talmente tante volte che solo il titolo mi dà la nausea.
Queste, dunque, le premesse.
Sta di fatto che qualche tempo fa @mariannemme mi regala questo libriccino, dicendomi: “Lo amerai”.
Io, molto perplessa, sono indecisa se ricordarle dei bruciori che avverto allo stomaco quando sento parlare di Salinger -sono certa che ne abbiamo parlato, Mary, ricordi?- ma alla fine sto zitta perché fondamentalmente mi fido di lei.
Tuttavia, il libro rimane per lungo tempo a prendere polvere su una mensola della libreria fino a che non leggo, un mese fa, la recensione di @ale.biblion. Ho una sorta di folgorazione, corro a disseppellire “Franny e Zooey” e lo appoggio in cima alla pila sul comodino.
Niente, amici, mi sono innamorata davvero. Della penna di Salinger, del suo essere sorprendentemente divertente, della sua capacità di descrivere la luce e il modo in cui questa, facendo irruzione in una stanza, modella cose e persone -e tu, lettore, le vedi davanti agli occhi quelle scene-, dei dialoghi -le parole che usa, la veemenza che riesce ad imprimere a certi passaggi-, dei personaggi che bucano la pagina -o meglio, sei tu che entri dentro alla storia, osservi e ascolti affascinato e preghi che esistano persone così nella vita reale.
Devo continuare? Facciamo che mi limito a lasciarvi un piccolo assaggio.
“Accidenti, - disse, - ce ne sono di cose belle al mondo. E quando dico belle intendo