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Fuga dal campo 14 è un romanzo di Shin Dong-hyuk, che è un esule nordcoreano residente in Corea del Sud. Si tratta dell'unica persona conosciuta che sia riuscita a fuggire da un campo di concentramento del suo Paese e sia sopravvissuta per raccontarlo. Si crede che sia anche l'unica persona nata in un campo di prigionia riuscita a lasciare la Corea del Nord e questo libro è la sua testimonianza autobiografica.
Il romanzo è scritto a quattro mani, o meglio è un'elaborazione delle interviste durate mesi da parte del giornalista statunitense Blaine Harden. Shin, spesso accompagnato da Harden, è stato relatore nell'ambito di conferenze in tutto il mondo per parlare della sua vita nel Campo 14, del totalitarismo nordcoreano e di diritti umani, in modo da sensibilizzare le persone riguardo alla situazione dei prigionieri in Corea del Nord.
Shin, prigioniero perchè uno zio scappò in Corea del Sud, durante gli anni cinquanta, è nato nel campo di internamento di Kaechon (Campo 14): si tratta di un campo di lavoro forzato dove i prigionieri scontano condanne a vita e in cui la durata media della vita è di 45 anni. Nato da due prigionieri che erano stati autorizzati a dormire insieme per un paio di notti all'anno come ricompensa per il buon lavoro, Shin visse con la madre, fino all'età di 12 anni e vide in poche occasioni il padre.Impara a sopravvivere con ogni mezzo, anche mangiando rane, ratti e insetti e segnalando la cattiva condotta di altri prigionieri in cambio di premi da parte delle guardie. All'età di 13 anni sente la madre e il fratello pianificare un tentativo di evasione: Shin riferirà il fatto, così come gli era stato insegnato sin dalla tenera età e li vedrà morire entrambi, odiandoli, dopo essere stato torturato lui stesso. Shin poi conoscerà un prigioniero politico quarantenne di Pyongyang che gli racconterà la verità sul mondo al di fuori del Paese. Deciderà così di scappare e dopo aver attraversato il confine con la Cina, approderà al mondo libero.
Dovendo dare un giudizio a questo libro, credo bisogna scindere quest'ultimo in due parti: una prima che riguarda il romanzo in sè, ovvero la storia di Shin e la sua fuga (che non è poi così di primo aspetto nel romanzo stesso), e la seconda inerente l'inchiesta che sta dietro ai campi di prigionia in Nord Corea (infarcita di dati a riguardo). Diciamo che come strumento di conoscenza, di reportage degli orrori di questi campi, do una valutazione più che ottima, per il romanzo in sé il giudizio non può essere così positivo, la storia è appunto un susseguirsi di trascrizioni dei ricordi di Shin, intervallati da molto altro, e in più il tutto è raccontato in terza persona, che a mio parere impoverisce un po' la storia.
Sebbene questo libro porta a conoscenza dei più, o almeno a chi abbia voglia di informarsi leggendolo, una delle più grandi tragedie umane che si perpetrano anche in questo momento senza che nessuno faccia niente, di per sé il romanzo mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato per le ragioni sopra descritte. Bellissimo come libro reportage/inchiesta, molto meno come romanzo.