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“Una volta trascorso un certo periodo di tempo, non c'è più nulla che si possa《mettere a posto》tra gli esseri umani. Si vive, e nel frattempo si ripara, si aggiusta, si edifica e più tardi qualche volta si distrugge la propria esistenza; ma con il passare del tempo ci si accorge che l'insieme, così come si è formato a causa degli errori e grazie all'intervento del caso, non è modificabile. Quando qualcuno riemerge dal passato per annunciare con voce commossa di voler mettere a posto ogni cosa, si può soltanto compiangerlo, o sorridere delle sue intenzioni; il tempo ha già messo a posto tutto, a modo suo, nell'unico modo possibile.”
Amici, ormai saprete che cerco sempre di trarre il meglio dalle letture che faccio anche quando non mi convincono o addirittura deludono le mie aspettative. Penso che ciascun libro possa quantomeno darmi degli spunti su cui riflettere e con questo romanzo di Márai è andata così: non l'ho trovato all'altezza di ciò che avevo già letto dell'autore ma mi ha comunque lasciato qualcosa.
Ho riflettuto molto sul comportamento della protagonista, Eszter, e sul fatto che a molti - me compresa, almeno in un primo momento - le sue decisioni siano risultate fastidiosamente incomprensibili, quasi ingiustificabili. Ha amato un solo uomo nella sua vita, Lajos, che si è comportato male con lei, l'ha ferita e poi abbandonata. Eppure, quando dopo vent'anni Eszter riceve la notizia che Lajos sta per tornare la prima reazione è quella di accoglierlo a braccia aperte. Le scelte della protagonista sono definite da una sorta di ineluttabilità e se ci appaiono indecifrabili è perché, a mio parere, manca una buona caratterizzazione psicologica del personaggio.
A voi non è mai successo di riaprire le porte al passato anche quando quello che ci stava dietro probabilmente non meritava una seconda possibilità? A me sì e non me ne pento. In linea con la citazione che ho riportato sopra, credo che sia il tempo a dettare il limite tra ciò che si può《mettere a posto》e ciò che va semplicemente accettato per quello che è. Quando decidiamo di aprire la porta è forse perché non abbiamo ancora superato quel limite?
Che ne pensate?