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Mi sono approcciata a questo libro con un certo timore, anche reverenziale se vogliamo (stiamo pur sempre parlando del romanzo vincitore del primo Premio Strega della storia). A preoccuparmi era soprattutto l'aspetto stilistico: pensavo che mi sarei trovata al cospetto di una scrittura densa e articolata, di una penna difficile da capire e accogliere nella dovuta maniera. Immaginate il mio stupore nel vedere interi paragrafi scorrere fluidi e chiari davanti ai miei occhi, pur mantenendo un sottofondo di semplice e poetica eleganza.
L'immediata e naturale conseguenza è stata far accomodare Flaiano alla destra di Calvino nella mia personale Trinità del Novecento letterario italiano (maschile -sto ancora lavorando sul trio femminile, aiutandomi soprattutto con gli spunti forniti da Giuli de @il_paratesto).
Secondo errore di valutazione che ho fatto è stato supporre che questo romanzo parlasse di storia, politica e società. In realtà -e oramai avrete capito quanto, in questo caso, la realtà superi di gran lunga le aspettative- il libro tocca tutti questi elementi solo di riflesso perché Flaiano si limita a riportare la voce e i pensieri di un ufficiale dell'esercito italiano in tutta la loro soggettività. Mi aspettavo un romanzo storico e invece mi sono trovata fra le mani un libro di matrice esistenzialista che, tuttavia, ha saputo restituirmi il sentimento di un'intera epoca.