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Una tragedia del nostro tempo raccontata dall'autore di Nelle terre estreme. Il libro che ha ispirato il film Everest (2015) presentato alla 72ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. L’Everest o Dea del Cielo è sempre stato oggetto di fascinazione, ossessione e desiderio sia per gli alpinisti sia per i sognatori. Ormai, se si ha il denaro necessario, è alla portata di tutti. Basta prenotarsi in una delle poche agenzie turistiche specializzate in emozioni estreme e firmare l’assegno. Quando nel maggio del 1996 Krakauer fu inviato dalla prestigiosa rivista Outside a partecipare a una spedizione sull’Everest per scrivere un articolo sulla proliferazione delle scalate a pagamento condotte da guide professioniste, sembrò il logico coronamento di una carriera che era riuscita a combinare le sue due passioni: l’alpinismo e la scrittura. Il 10 maggio, però, una tempesta colse di sorpresa le quattro spedizioni che si trovavano sulla cima. Alla fine della giornata nove alpinisti erano morti, incluse due delle migliori guide. Krakauer è tra i fortunati che sono riusciti a ridiscendere «la Montagna». Aria sottile è molto più che la cronaca di quella tragedia; oltre ad offrire un punto di vista privilegiato – quello della prima persona – su una vicenda che a oltre vent’anni di distanza fa ancora discutere, offre soprattutto un esame provocatorio delle motivazioni che stanno dietro alle ascensioni ad alta quota e una drammatica testimonianza del perché quella tragedia si poteva evitare. Krakauer descrive in modo indimenticabile la fatica di esistere e ancor più di muoversi a 8000 metri. È un acuto esaminatore dell’ascetismo masochistico che spinge gli alpinisti; sa che per voler salire sull’Everest bisogna avere una buona dose di follia. La sua storia contiene quella che deve essere l’essenza dell’inferno: l’infinita capacità delle cose di divenire peggiori di quello che temi. Grazie alla sua straordinaria capacità narrativa che rende vivido il racconto di ogni passo sulla montagna e alla feroce critica delle decisioni prese lassù quel 10 maggio, Krakauer ha scritto un bestseller che è diventato ormai il classico indiscusso della letteratura di montagna.
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Scrittura di ottimo livello, ma molto faziosa. Come ha avuto il coraggio di ammettere lo stesso Krakauer nelle note, Simone Moro gli ha fatto notare che alla fine Bukreyev che si è preso tra le righe tutta la colpa è stato l'unico che non ha avuto vittime tra i propri clienti...non può essere un caso, quindi concordo con Moro.
3,5 stelle, faccio salire a quattro per la scrittura e la traduzione molto ben fatta.
Aria sottile è un saggio di Jon Krakauer pubblicato nel 1997, dopo che l'autore coinvolto in prima persona nei fatti narrati per esorcizzare il proprio male dell'Everest decise di ampliare un precedente articolo redatto per la rivista Outside, che racconta della disastrosa conquista della cima dell'Everest avvenuta durante la primavera del 1996.
Quello che dunque doveva essere un semplice reportage su di una spedizione commerciale per la vetta dell'Everest per una rivista di settore, diventa tragedia prima e oggetto di discussioni per anni per la tragicità dei fatti avvenuti sulla cima più alta del mondo, che costò la vita alla maggior parte dei partecipanti alle varie spedizioni di quell'anno sul monte Everest.
Krakauer nasce alpinista, non professionista, ma sicuramente abile scalatore e non riesce a resistere alla tentazione di arrivare sul tetto del mondo: il risultato è un racconto magnifico, preciso, avventuroso, estremo ma soprattutto tragico, dedicato alla memoria di quelli che perirono nel tentativo; è un reportage che cerca di fare chiarezza su quello che obiettivamente successe a quota 8000, nella zona della morte. L'autore è abile come scrittore-giornalista-alpinista, riuscendo a coinvolgere nell'agghiacciante rievocazione della spedizione. Accurato nei fatti, con brevi digressioni storiche e sociologiche, ma è obbiettivo?
Probabilmente no, non esiste il giornalista obiettivo: infatti venne pubblicato a distanza di un anno un altro libro che narra le vicende, soprattutto della guida alpinista russa Bukreev che è diametralmente opposto nel narrare quello che successe lassù. Ma credo che nel vivere una tragedia simile sia difficile essere obbiettivi, soprattutto quando la tua mente è completamente offuscata dal “mal di montagna”, in una zona dove l'ossigeno è un terzo di quello normale e il cervello prende decisione come quelle di un essere appena senziente. Sull'Everest ad una certa altitudine il fisico soccombe: non si dorme, non si mangia e ogni piccola fatica è insormontabile, se poi aggiungiamo la tempesta che si verifico nel mentre, non credo si possa essere obbiettivi.
Solo chi ama profondamente le montagne può capire cosa possa spingere dottori, impiegati delle poste, milionari, uomini non professionisti del tutto (a volte) impreparati ad affrontare un'odissea come questa: per cercare di giungere in vetta bisogna spendere molto denaro (qualche centinaio di migliaia di dollari), impiegare due mesi di “acclimatazione” per l'altitudine e almeno un anno di preparazione prima del viaggio. Ogni anno centinaia di queste persone mettono in discussione la loro vita per arrivare sulle vette himalayane.
Bellissimo libro, che consiglio a tutti i sognatori delle cime estreme e delle imprese impossibili.