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Mica facile trovare le parole per rendere l'idea di Favole a orologeria. Volumetto delizioso, fu pubblicato per la prima volta sul finire dell'800. Contiene poco più di un centinaio di favole, piccole delizie con cui Ambrose Bierce mette a soqquadro un'idea molto precisa di moralità - quell'etica puritana dal dito artrosico, poco avvezza alla realtà del dato-di-fatto, e ancora molto incartata nelle credenze (speranze) dell'epoca.
Favole a orologeria è un piccolo scrigno a cui Bierce affida una quantità di composizioni che, per natura, devono contenere un esercizio morale. A volte ben nascosto tra poche, sparute righe.
Non è bene né male; non è elogio né disprezzo; non è obbligo né seduzione: tutto ciò che Bierce propone è uno sguardo disincantato sul mondo - dei furbi, degli svegli, dei malcapitati, dei prepotenti, degli ottusi, dei fortunati, di quelli qualunque e degli unici - raccontato a partire dalle circostanze più disparate.
Una quantità di favole in cui situazioni paradossali (a volte talmente irrazionali da ancorare le radici nel cinismo più dolce) e cartoline metaforiche prendono a sberle, o con robuste carezze, l'ingenuità e l'ipocrisia, senza per questo sacrificare poetica e immaginazione, affilate con un'ironia di rara intelligenza.