Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica - un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata - ha la forma dell'acqua (""Che fai?" gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. "Qual è la forma dell'acqua?". "Ma l'acqua non ha forma!" dissi ridendo: "Piglia la forma che le viene data"). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell'ingegnere Luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di Vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell'assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L'autore del quale, Andrea Camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l'intreccio con una facilità e una felicità d'inventiva, un'ironia e un'intelligenza di scrittura che - oltre il divertimento severo del genere giallo - appartengono all'arte del raccontare. Cioè all'ingegno paradossale di far vedere all'occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.
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