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L'epopea di Gilgamesh si è rivelata molto diversa da come me l'immaginavo. Io, forse con troppa naif-ità mi aspettavo un'impresa eroica stile epica greca. Invece il nostro seppure semidio si comporta tutt'altro che da tale. È un anti-eroe, che fallisce e quando non lo fa è solo grazie all'appoggio suo fedele amico Enkidu. Gilgamesh è un semidio che è ossessionato dall'idea di morire dimenticato, e questo è il suo unico successo: ancora oggi parliamo e leggiamo di lui. La cosa più affascinante, che per me è rappresentativa dell'originalità di questo racconto, è la struttura anti-climax del tutto. Ogni volta che ci si aspetta una sopraffazione di Gilgamesh sulle avversità del fato, ecco invece che la narrazione vira verso conclusioni veramente inaspettate. L'esempio più eclatante è alla sua prima prova di forza contro il guardiano della foresta. Dopo pagine e pagine di un viaggio il nostro è di fronte alla bestia e... si addormenta. Ho riso per 5 minuti netti. Ma a ben pensarci... chi non lo farebbe, semidio o no, dopo giorni e giorni di viaggio?!
Altro aspetto assolutamente inaspettato per me è stato quello della cattiveria degli dei, della loro puerile isteria, in questo ricorda molto il Dio dell'antico testamento, che agisce più per ripicca che per altro, come agiscono per ripicca anche questi “Dei vicini”. Anche da questo punto di vista il testo è assolutamente affascinante, l'impossibilità del genere umano di comprendere l'atteggiamento ermetico del divino.
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