Cose che ho capito dopo aver letto Fiabe svedesi:
- I giganti seguono una specifica dieta a base di farinata, non molto ricca di fosforo a quanto pare dato che il loro QI sembra molto al di sotto della normalità.
- A volte i re si dimostrano più stupidi dei suddetti giganti dal momento che per una capra dalle corna d'oro sono disposti a cedere metà del loro regno, neanche fosse un Picasso.
- Il metodo più gettonato per sbarazzarsi di qualcuno è aspettare che si avvicini ad un pozzo, sollevarlo per i piedi e gettarlo dentro.
- Nel caso in cui siate delle principesse dimenticatevi gli eroi forti e valorosi di nome Filippo che vengono a salvarvi dalle grinfie di un drago in sella al loro bianco destriero. Il meglio che vi può capitare è un contadino giovane e nullatenente chiamato affettuosamente Pisciasotto.
- Al contrario, nel caso in cui siate dei principi e la vostra promessa sposa abbia le sembianze di un topo di campagna non disperate: dopo svariate prove da superare si trasformerà nuovamente in una bella ragazza. Tuttavia, non abbiate grosse pretese con i nomi neanche in questo caso.
- Ultimo, ma non meno importante: tutte le fiabe si somigliano. Vi sfido a leggere questo libro e trovare tanti richiami a storie della nostra tradizione popolare quanti ne ho trovati io.
Queste storie sono state una coccola a fine giornata nonché un tuffo nel mare dei ricordi, a quei momenti in cui mio babbo mi leggeva una fiaba prima di dormire e sembrava sempre sul punto di crollare prima di me.
La parte che mi è piaciuta di più è stata la nota della traduttrice. Forse non ho capito il punto
Non credevo che io e Salinger potessimo diventare amici, invece è successo. In realtà è stato molto più di questo, ma procediamo con ordine.
Ho sempre associato Salinger a “Il giovane Holden”, libro per il quale nutro tuttora una specie di repulsione senza che io sappia spiegarne il motivo. Forse, l'ho sentito nominare talmente tante volte che solo il titolo mi dà la nausea.
Queste, dunque, le premesse.
Sta di fatto che qualche tempo fa @mariannemme mi regala questo libriccino, dicendomi: “Lo amerai”.
Io, molto perplessa, sono indecisa se ricordarle dei bruciori che avverto allo stomaco quando sento parlare di Salinger -sono certa che ne abbiamo parlato, Mary, ricordi?- ma alla fine sto zitta perché fondamentalmente mi fido di lei.
Tuttavia, il libro rimane per lungo tempo a prendere polvere su una mensola della libreria fino a che non leggo, un mese fa, la recensione di @ale.biblion. Ho una sorta di folgorazione, corro a disseppellire “Franny e Zooey” e lo appoggio in cima alla pila sul comodino.
Niente, amici, mi sono innamorata davvero. Della penna di Salinger, del suo essere sorprendentemente divertente, della sua capacità di descrivere la luce e il modo in cui questa, facendo irruzione in una stanza, modella cose e persone -e tu, lettore, le vedi davanti agli occhi quelle scene-, dei dialoghi -le parole che usa, la veemenza che riesce ad imprimere a certi passaggi-, dei personaggi che bucano la pagina -o meglio, sei tu che entri dentro alla storia, osservi e ascolti affascinato e preghi che esistano persone così nella vita reale.
Devo continuare? Facciamo che mi limito a lasciarvi un piccolo assaggio.
“Accidenti, - disse, - ce ne sono di cose belle al mondo. E quando dico belle intendo
Mi è piaciuta tantissimo la prima parte, grossomodo le prime 90 pagine. Ho trovato un sacco di spunti di riflessione ancora attuali, nonostante il libro sia stato scritto quasi 40 anni fa. Nella seconda parte si perde un po', ho notato molte ripetizioni tra un articolo e l'altro. Si riprendono in più parti le stesse cose e mi è risultato un po' pesante. Però nel complesso mi è piaciuto molto!
3.5
Tre sono le cose che più mi hanno colpito di questo memoir ambientato a Marrakech nel 1954:
- la multietnicità del luogo. Arabi, berberi, ebrei ed europei convivono, non senza qualche difficoltà, in una delle metropoli più importanti del Marocco.
- la conseguente impossibilità, spesso, di usare una lingua per comunicare. È il linguaggio, verbale e gestuale, a prevalere sulla lingua; sono i suoni, le voci, più che le parole ad essere oggetto di attenzione: versi che incantano, litanie che hanno il potere di condurre i passi o inchiodare i piedi in un punto fisso, per ore.
- lo sguardo come veicolo principale di comunicazione, uno sguardo rivolto più alle persone che ai luoghi. Canetti si fa portavoce di una geografia antropologica, la sua penna dipinge ritratti più che paesaggi e si sofferma in particolare sugli ultimi: i mendicanti, gli storpi, i malati, gli emarginati, i bambini. Il suo sguardo restituisce loro dignità, forse anche perché non riesce a penetrare fino in fondo nel mistero di queste persone, un mistero che viene così ammantato di sacralità.
È per tutti questi motivi che vi consiglio la lettura di questo libriccino. Per me è stato un viaggio meraviglioso, in compagnia di una guida che ha posato gli occhi esattamente dove avrei fissato i miei.
Black hole di Charles Burns è la graphic novel più strana che io abbia mai letto. La trama è semplice: Seattle fine anni ‘60; tra i ragazzi inizia a diffondersi un virus che si trasmette per via sessuale e che provoca delle mutazioni corporee, anche se non uguali per tutti. Alcuni rimangono completamente sfigurati; costretti ad allontanarsi dalla città, formano una comunità di reietti che vive nei boschi. Altri se la cavano con una bocca sul collo, una coda tra le gambe, la pelle che muta come quella dei rettili. Tutti, però, sono costretti a fare i conti con queste strane trasformazioni.
È quello che ci succede durante l'adolescenza: dobbiamo scendere a patti con il nostro corpo che cambia e adattarci alla nuova immagine di noi stessi. A parole sembra semplice, nella pratica lo è un po' meno - basti pensare che i disturbi psicopatologici più gravi hanno il loro esordio proprio in questa fase della vita.
Black hole è, di fatto, una graphic novel che parla di adolescenza, paragonata dall'autore ad un buco nero che bisogna attraversare e da cui si esce con più o meno conseguenze (infatti, non tutti contraggono il virus e le mutazioni sono diverse a seconda dei casi). Una visione non proprio positiva e incoraggiante, per usare un eufemismo, ma mi è piaciuto molto il modo in cui Burns ha saputo rendere tutta la fragilità del percorso che porta all'età adulta.
Per concludere, l'uso del bianco e nero e il tratto deciso e marcato si adattano bene sia al contenuto della storia che alle immagini forti, esplicite e spesso violente. Nonostante la stranezza, quindi, mi è piaciuto molto e ve lo consiglio.